sfiorato piu’ volte il baratro, si ritorna in c1
1998-2008
Un duro risveglio da cui è difficile riprendersi
Svanita subito l’illusione della C1, il Novara si appresta ad affrontare uno dei momenti più delicati della sua lunga storia. A cavallo del nuovo millennio si registrano soltanto salvezze sofferte e crisi societarie scongiurate in extremis. Negli anni bui talvolta si affaccia persino la tentazione della resa, di ammainare il vessillo azzurro nell’angolo dei ricordi, oscurando un presente mediocre.
Ci vuole tempo per abituarsi alla mutata realtà. Non ci sono più i finanziatori storici che permettevano alla società azzurra di sedersi ogni anno al tavolo della C2 con le credenziali della protagonista annunciata. Gli sforzi dei vari Croso, La Rocca, Achilli sono lodevoli, ma l’epoca in cui il club di Viale Kennedy vinceva puntualmente il campionato degli investimenti è ormai alle spalle. C’è un blasone da difendere, ma il margine di manovra si è estremamente ridotto.
Il debutto di Paolo Morganti
La prima pietra per la risalita viene posta, forse inconsapevolmente, il 7 settembre 1997 allo stadio “Speroni” di Busto Arsizio. Sta per finire il primo tempo e il Novara è già sotto. A un certo punto il generoso Nicolini deve uscire dal campo. L’allenatore Chierico impreca. In panchina ci sono solo giovanissimi. Ed allora ordina a uno di loro di togliersi la pettorina ed entrare appena possibile. Il ragazzo si chiama Paolo Morganti e non ha nemmeno 18 anni. Ma in campo non sfigura, anzi.
È l’inizio di un’altra bella storia. In assenza di capitali importanti la rinascita passa attraverso le qualità e la voglia di vincere di un gruppo di calciatori che sono, innanzitutto, uomini. Il novarese Morganti è il primo tassello ed in un certo senso l’emblema, per la voglia di migliorarsi quotidianamente, per l’incredibile serie di spareggi vinti (cinque su cinque) sempre con la maglia azzurra addosso. Nel 1999 arriva Polenghi, un anno più tardi Brizzi, Colombini e Braiati, ma i risultati rimangono allarmanti. Il primo Novara del nuovo millennio è il più disgraziato di sempre. Nel dicembre 2000 nessuno scommetterebbe una vecchia lira sulla salvezza degli azzurri, fanalini di coda della C2.
Borgo, l’uomo giusto al posto giusto
C’è una data che cambia gli eventi: 14 marzo 2001. Quel giorno arriva Sergio Borgo, l’uomo giusto al posto giusto. Nessuno come lui crede nell’importanza di un meticoloso lavoro quotidiano per migliorare i giocatori. Non ama dissanguare i presidenti, andando alla ricerca degli elementi più cari sul mercato. È un grande motivatore e preferisce crescere in casa calciatori di buon livello con un lavoro paziente e qualificato. Proprio quello che serve al tribolato Novara.
Ci vuole un trascinatore per una truppa disorientata. I primi tre mesi di lavoro del nuovo direttore generale sono indirizzati in questo senso. Tempesta di telefonate i giocatori, a qualsiasi ora.
Per proseguire questa storia però bisogna superare le colonne d’Ercole del terzo play out consecutivo, stavolta con il Fiorenzuola. I gol di Polenghi (e le parate di Righi) valgono una salvezza che pareva insperata.
La coppia d’attacco Palombo-Rubino
Borgo rinforza l’asse centrale della squadra con il ritorno di Bini e gli arrivi di Ciuffetelli e Palombo. Poi c’è una punta che il dg azzurro andava spesso a visionare il sabato al “Breda” di Sesto: si chiama Rubino. La dritta era arrivata dal cugino, l’ex spezzino Catalano. Rubino segna poco (soltanto 4 gol nella Pro) ma colpisce Sergione per il carattere che mette in campo.
Le secche della bassa classifica durano ancora fino al gennaio 2002. Poi sulla panchina azzurra piomba Stefano Di Chiara. Il tecnico romano affronta la situazione di petto, respinge polemiche e scetticismi con i risultati. Infonde alla squadra quella mentalità vincente di cui ancora manca. È un’esaltante cavalcata. Dal terzultimo al terzo posto, a suon di vittorie. Una sua frase: “Non succede, ma se succedesse…” diventa il leitmotiv dell’illusione.
Non succede perché la Pro Patria si riprende la C1 che le stava sfuggendo in una drammatica semifinale. Non succede anche perché il Novara perde Rubino a pochi minuti dalla sfida decisiva. Non succede, ma succederà perché il Novara si è riabituato a vincere.
Il ritiro in Bulgaria cementa il gruppo
La strada però è lastricata di altre vicissitudini. I Mastagni manifestano propositi di abbandono. Nell’estate 2002 pare che la squadra non debba andare nemmeno in ritiro; così indica la proprietà. Borgo allora vara un precampionato quasi a costo zero. Si va in Bulgaria. Il volo è coperto da una sponsorizzazione, il soggiorno a prezzi stracciati. Una scelta dolorosa diventa un’operazione d’immagine perché il Novara affronta club blasonati come il Cska di Sofia. Con la partenza di Di Chiara e Rubino la truppa azzurra pare meno competitiva. Il gruppo, invece, si cementa nelle ulteriori difficoltà.
In panchina c’è il giovane Foschi. Arrivano il gigante Cioffi, l’esperto Monza e soprattutto un attaccante di nome Egbedi. Nel girone d’andata il nigeriano pare un novello Weah. Le sue falcate verso la porta avversaria sono l’immagine più eloquente di una squadra che pare imprendibile. Invece il Pavia non molla, tallona Brizzi e compagni e infine li sorpassa. Incrina e poi fa crollare le certezze costruite con le vittorie a raffica dei mesi autunnali.
La prima promozione nello stadio “Piola”
Si torna alle incertezze d’inizio stagione, all’incognita play off. Sudtirol e Pro Sesto vi arrivano in condizioni migliori, il Mantova ha il sostegno di un pubblico record. Ma la voglia di vincere degli azzurri è più forte delle difficoltà. Il simbolo di questa volontà si può identificare in Polenghi, gravemente infortunato a metà marzo: operazione obbligatoria e stagione finita sentenziano i luminari. Operazione si, ma il recupero si rivela sorprendentemente felice. Il Pole lavora in silenzio, con intensità. E si ripresenta in campo quando nessuno ci sperava più.
E’ la metà del secondo tempo della semifinale di ritorno con la Pro Sesto. Il “Piola” è ammutolito perché teme una beffa. Maiolo ha appena pareggiato il rigore di Palombo con un’autentica magia. Ma quando Polenghi si alza dalla panchina la gente capisce che ci saranno altre sorprese. Applaude, torna a tifare convinta. Nulla e nessuno possono essere più forti del carattere di questi giocatori. Polenghi va a formare con l’inseparabile Morganti un tandem destro che mette la museruola anche al temuto Zecchin in finale. Afa e tensione si mischiano nel pomeriggio del 15 giugno 2003. Finalmente il Novara festeggia una promozione allo stadio “Piola”!
In C1 stavolta non di passaggio
Stavolta la C1 non è un incubo, anzi. C’è Pippo Resta a dare ulteriore solidità alla società. Sul campo arrivano giocatori come Lorenzini e Pinamonte che entrano a far parte del progetto. Fino alle soglie della primavera il Novara lotta con le grandi per un posto nei play off.
Invece tutto si sfalda tra la fine del 2004 e l’inizio del 2005. Infortuni e scelte avventate preparano una provvisoria rivoluzione che provoca rischi di retrocessione.
La bella storia però non è finita, c’è un colpo di coda. Nel 2006 il Novara di Cabrini sfiora i play off dopo un’esaltante rimonta primaverile. Al timone c’è di nuovo Borgo e in campo ancora loro: i vari Franzese, Morganti, Ciuffetelli, Colombini, Braiati, Lorenzini, Brizzi, Bigatti, Rubino e Palombo.
L’immagine più dolce di un ciclo che finisce è rappresentata da Palombo che nel novembre 2006 segna il suo ultimo gol in azzurro e poi si abbandona a una dedica alla sua bimba appena nata. Resta può consegnare alla famiglia De Salvo un Novara in buona salute per traguardi più ambiziosi.