si apre un ciclo, c’e’ posto in paradiso
1930-1946
Largo alla linea verde!
Nel 1926 Enrico Patti lascia il Novara e fonda la Sparta.
Il “Colonnello” crea un nuovo club per lanciare in maniera decisa ed organica la linea verde. Abbandona il calcio di vertice a soli trent’anni e si mette a setacciare campetti di periferia e circoli per scovare nuovi talenti. Rivalità sì, ma in fondo in nome di un obiettivo comune. Sin dai primi anni la Sparta si propone come serbatoio ideale della società più antica.
La caduta in B del 1929 è l’occasione propizia per ringiovanire un Novara che deve voltare pagina. Il lavoro certosino degli anni precedenti porta subito i primi frutti. Patti torna a guidare gli azzurri e si trascina un consistente gruppo di ragazzi provenienti proprio dal vivaio dello Sparta.
Nel giro di pochi anni arrivano, fra i tanti, il portiere Caimo, il terzino Checco, il regista Mornese ed il bomber Torri. Senza dimenticare, una decina d’anni dopo, l’esplosione di Francesco Rosetta, poi ceduto al “Grande Torino”.
Nella stagione 1929-30 avviene il passaggio di testimone tra Meneghetti e Mornese. Alla seconda giornata di campionato Meneghetti viene espulso a Biella e rimedia un paio di turni di squalifica. Il suo posto viene preso dal giovane “spartano” che convince i tecnici a tal punto da conservare la maglia da titolare anche al rientro del capitano bandiera.
La prima in Via Alcarotti
È Mornese il perno della squadra che scende in campo per la prima volta in Via Alcarotti il 20 settembre 1931 contro il Cagliari. Uno stadio costruito grazie ai buoni uffici del marchese Luigi Tornielli da Borgolavezzaro.
La rete decisiva della storica vittoria sugli isolani porta la firma di un altro ragazzo del vivaio: Ezio Rizzotti, detto “sciavata”.
Il Novara dei primi Anni Trenta si aggrappa ai suoi gol. E agli assist della mezzala Remo Versaldi, oggi Varsaldi, dopo una doverosa correzione all’anagrafe.
Le altre colonne della squadra sono i terzini Rabaglio e Mazzucco, il mediano Bercellino, l’onnipresente Angelo Galli.
Non sono anni facili per il Novara.
Le crisi societarie nel club azzurro si susseguono una dopo l’altra, persino all’indomani della promozione del 1936.
A presidenze di non lunga durata fanno seguito periodi di pericolosi “commissariamenti” con qualche cambio di denominazione sociale.
Tra le figure imprenditoriali spiccano i nomi di Enzo Lambertenghi, un commerciante con attività nel cuore di Novara, e Mario Saini, titolare dell’omonima “Mulini Saini”.
A caccia dei gol di Romano
In questi anni ruggenti si forma il carattere e la personalità di dirigenti di grande spessore. Come Luciano Marmo che diventerà anche Commissario Tecnico della Nazionale senza mai abbandonare del tutto l’azzurro novarese.
Passando alle “toghe” azzurre… negli Anni Trenta spicca già la grande personalità di Celestino Sartorio. Con lui c’è Piero Omodei Zorini, famoso per la sua avversione ad acquistare giocatori dal nome un po’ bizzarro. Tutta colpa… di tale Fidomanzo da Messina… spacciato per un buon giocatore e invece finito nel dimenticatoio nella deludente stagione ‘36-37. Le leggende tramandano che proprio quel precedente porterà a scartare persino il futuro nazionale Carapellese, dal cognome troppo inquietante…
C’è poi Luigi Bocca, ex ala destra, Commissario e poi Commissario Unico nelle tre stagioni che portano al ritorno in A.
Nell’estate del 1934 Bocca capisce che i ragazzi del vivaio non bastano, da soli, per tornare nella massima serie e intavola col Como una trattativa serrata per portare sotto la cupola il giovane bomber Marco Romano. Non è ancora tempo di plusvalenze, ma la risposta della società lariana è di quelle da calcio moderno: «Non lo vendiamo da solo… Se lo volete, dovete prendere in blocco anche Guarisco e Galimberti…» Un affare d’oro.
Romano diventa fino all’arrivo di Gonzalez il bomber più prolifico di tutta la centenaria storia azzurra. Guarisco fa da chioccia per l’esplosione di Caimo e Galimberti si rivela un difensore roccioso, capace di far soffrire anche i più grandi attaccanti italiani, Piola compreso.
La serie A soltanto sfiorata
Il microcosmo azzurro s’intreccia con il dramma personale e mondiale dell’ebreo Arpad Weisz, allenatore del Novara nella stagione 1934-35. Un’annata che gli serve da trampolino di lancio per passare al Bologna dove vince due scudetti consecutivi. Nel 1938 però deve lasciare l’Italia per l’entrata in vigore delle famigerate leggi razziali. Si rifugia a Parigi, poi a Dordecht nei Paesi Bassi dove porta anche la squadra locale a successi insperati. Non è sufficiente per sfuggire alla persecuzione tedesca. Verrà catturato, rinchiuso e ucciso, assieme alla famiglia, ad Auschwitz.
Nel 1935 la serie A sfuma di un soffio. Passa una sola squadra e il posto tocca all’allora “Genova”. Il Novara però si toglie la soddisfazione di andare a vincere sul campo dei rossoblu per 2-1.
La grande rimonta di Pisa
La promozione arriva un anno dopo, al termine di un campionato incredibile in cui il Novara fa l’en plein di punti nelle gare casalinghe in Via Alcarotti: 17 incontri, altrettante vittorie.
Ma la partita-capolavoro è quella del 10 maggio a Pisa.
Mancano soltanto tre giornate alla fine del campionato ed una sconfitta potrebbe essere fatale. Ad una manciata di minuti dal termine gli azzurri sono sotto per 3-0. A questo punto si scatena Romano: due gol del bomber ed un sigillo di Mornese regalano l’insperata rimonta.
È il punto decisivo che permette di staccare il Livorno proprio di una lunghezza. Tecnico della promozione è l’ungherese Johan Beckey.
L’altalena tra la B e la massima serie
Sono anni in cui il Novara fa l’altalena tra la B e la massima serie.
Un tiro da fuori del giallorosso Serantoni a una manciata di minuti dalla fine dell’ultima partita, al “Testaccio” di Roma, costa l’immediata retrocessione dopo aver riacchiappato la A.
La successiva promozione del 1938 esalta le qualità di altri due “spartani”: Caimo e Torri.
Angelo Caimo si è guadagnato i galloni da titolare con il passare degli anni. La sua notevole stazza non gli impedisce di avere una grande reattività.
Otello Torri è un ragazzo di Brescia. I fratelli lo chiamano a Novara, prospettandogli un posto in fabbrica. Sotto la Cupola scopre, però, di avere anche una apprezzabile confidenza col pallone. Comincia come terzino; Patti lo prova in attacco e lui ricambia l’intuizione segnando cinque gol già nella prima amichevole. La sua esplosione pare rubare spazio a Romano.
La piazza si divide tra le due fazioni con vivaci contestazioni anche per i giornalisti che esaltano le prestazioni dell’uno piuttosto che dell’altro.
Le loro caratteristiche sono differenti. Romano è un attaccante fisicamente ben messo, dotato di tecnica e stile. Torri invece è veloce, imprevedibile, effervescente. In realtà i due possono convivere: Romano si sposta all’ala e crea con Torri in mezzo un tandem irresistibile.
Senza dimenticare il velocissimo Mariani, prelevato dal Vigevano nell’estate 1935.
La promozione con l’Alessandria e la grande avventura in Coppa Italia
Proprio Torri e Caimo firmano la vittoria decisiva sul campo dell’Alessandria. Ai grigi basterebbe un pari davanti al pubblico amico per raggiungere la massima serie.
Il Novara non si fa intimorire e passa in vantaggio a metà del primo tempo con un colpo di testa di Torri su invito di Mariani. Il serrate dei padroni di casa è incessante. In mischia Mazzucco rischia persino l’autogol, lo salva il palo. Caimo invece para tutto. Anche un tiro di Torti nel finale che pareva destinato nel “sette” con tutto il pubblico di casa già in piedi a esultare per la rete.
La squadra di Angelo Mattea (ex Napoli) si ripete nello spareggio di Torino, sempre contro i grigi, ed è di nuovo serie A.
È il preludio alla grande avventura in Coppa Italia. Un cammino che vede gli azzurri superare Pro Vercelli, Sime Popoli, Modena e Milan prima di arrendersi di misura (2-1) all’Ambrosiana Inter a Roma.
Si torna in serie B, poi arriva la guerra
Il Novara comincia a perdere i pezzi, Caimo passa all’Inter e la serie A sfugge in maniera beffarda una domenica del maggio 1941 in laguna.
A Novara e Venezia basta un pari per salvarsi e lo 0-0 sembra il risultato più scontato. Invece i padroni di casa si scatenano nella ripresa e segnano ben tre gol, uno di troppo per gli azzurri che retrocedono per colpa della peggior differenza reti rispetto alla Lazio.
La società non vuol sentire ragioni: 500 lire di multa a tutta la squadra per scarso rendimento. Per Mornese, che ha lottato fino alla fine, è un affronto. Il capitano molla la nave e passa alla Roma dove contribuirà l’unico scudetto giallorosso prima dell’era Falcao.
Nel momento del declino c’è uno spiraglio d’azzurro: il primo febbraio 1942 a Udine debutta, con un’insolita maglia numero 11, un certo Ambrogio Baira pallino di Omodei Zorini.
Dopo la guerra diventerà mediano, collezionando 497 presenze, un record battuto solo da Udovicich.
I gol di Silvio Piola e la grande rimonta finale della Lazio nel 1941, hanno tolto la serie A agli sportivi novaresi. Il centravanti di Robbio si farà perdonare con gli interessi dai tifosi azzurri, ma soltanto dopo la guerra mondiale, che un’altra volta interrompe bruscamente i sogni di chi vive attratto dalla magia del pallone.